La storia finora: Il conte Nefaria ha attirato Moon Knight in Italia, minacciando la sua ex ragazza Marlene Alraune.

Il primo confronto contro il Cavaliere Lunare lo aveva visto trionfare, ma il supereroe ha trovato due inaspettati alleati in Suspiria, una killer di mafiosi che vuole uccidere il conte, e in Ronin, membro dei Taciti, un antica associazione di monaci-guerrieri che da secoli proteggono l’Italia.

Silente, il capo dei Taciti, aiuta Marc a recuperare il proprio equilibrio sottoponendolo a un rito di purificazione. Marc ha una visione in cui affronta i proprio demoni interiori, uscendone rinfrancato nel corpo e nello spirito.

Dopo essersi ricongiunto col fedele amico Nigel, e aver scoperto che Nefaria lo ha reso un ricercato internazionale, Moon Knight e i suoi alleati tornano in America, pronti a contrattaccare.

 

di

Carmelo Mobilia

# 44

ATTACCO AL POTERE

 

Nelle discoteche la gente va per ballare, divertirsi, approcciarsi con l’altro sesso e strafarsi.

La gente quasi affoga nella sala, tra luci stroboscopiche, musica assordante e DJ che esortano tutti a darci dentro.

I baristi al bancone servono drinks su drinks a ragazzi e ragazze in cerca di una sbronza, gli spacciatori passano di mano in mano sostanze stupefacenti mentre nei bagni si consumano rapporti sessuali tristi e privi di sentimento.

Il tutto per voler staccare la spina da una vita troppo spesso insoddisfacente.

L’uomo seduto nel privè di questo locale però non aveva l’aria di divertirsi molto.

Sorseggiava con malavoglia dello champagne e non sembrava nemmeno interessato alle ragazze seminude che gli agitavano fianchi e sedere sotto il naso.

Era alto, calvo, vestiva un elegante vestito bianco e una camicia di seta nera.

Rispondeva al nome di Johnny King.  

Con aria insoddisfatta lasciò il divanetto e fece segno al buttafuori che andava sul retro del locale a fumarsi una sigaretta. Si appoggiò al muro e sfilò la Marlboro dal pacchetto, accendendosela.

Mentre faceva la prima tirata di fumo, qualcuno lo chiamò per nome.

<Johnny!>

Johnny fu lesto nell’estrarre la pistola e nel puntarla verso quella voce, ma fu rinfrancato dal vedere una figura familiare: in quel vicolo, seppur nascosto dalla penombra per non farsi vedere, vide spuntare l’inconfondibile cappuccio rosso di Parker Robbins, il criminale noto come Hood.

<CAPO! Che ci fai qui?>

<Indovina... sono riuscito ad evadere, ma ho gli sbirri che mi stanno addosso.>

<Sei un grande, cazzo, dico davvero. Mi hanno detto che eri in isolamento, mi è stato impossibile contattarti... >

<Niente può imprigionarmi a lungo, lo sai. Ora ascoltami, ho poco tempo per cui vedi di prendere appunti.>

<Lo sai che ho una memoria fotografica.>

<In gattabuia ho scoperto che a vendermi all’arciere è stato Nefaria.>

<Il conte Nefaria? L’ex boss del Maggia?> chiese Johnny, incredulo.

<Proprio lui. Pare non abbia gradito il fatto che lo abbiamo tagliato fuori dagli affari, e adesso vuole prendersi ciò che era nostro. Voglio che divulghi la notizia, voglio che i nostri gli facciano la guerra! Gli dobbiamo fare capire che non siamo finiti e che comandiamo ancora noi a New York!>

<Consideralo fatto, capo. Quel bastardo pagherà per quello che ha fatto, puoi contarci. Ma ora che cosa...maledizione, gli sbirri!>

Le luci rosse e blu di una volante della polizia richiamarono la sua attenzione.

Johnny King rimase ad osservare la volante che si allontanava lentamente.

<Ok via libera, non erano qui per te. Stavo dicendo, adesso cosa...> ma il suo capo non era più lì.

Johnny non era sorpreso, sapeva bene che faceva sempre così.

Scompariva come un fantasma, grazie a quella cappa e a quegli stivali stregati di cui era in possesso. Gettò la sigaretta e prese il cellulare, allontanandosi dal vicolo.

Se Johnny King avesse alzato lo sguardo, avrebbe visto come il suo capo fosse in realtà sul tetto del palazzo, arrivato fin lì non grazie a strani poteri paranormali ma ad un sofisticato rampino.

 Avrebbe anche visto che l’uomo con cui aveva parlato non era realmente il suo capo, ma che sotto il cappuccio rosso e dietro una maschera con le fattezze di Parker Robbins si celava Marc Spector, il giustiziere noto come Moon Knight.

<Ben fatto Crawley.> disse con aria soddisfatta <Ottimo lavoro, vecchio mio.>

 

Tre giorni prima.

 

La vita dei senzatetto è senz’altro dura eppure, per quanto possa sembrare quasi incredibile, c’è chi la fa per scelta. Una vita libera, senza obblighi o costrizioni di nessun genere, vivendo alla giornata di espedienti o piccoli favori, cercando di sfamarsi alla meno peggio e di farsi un goccetto che aiuti a mandare via il freddo e i cattivi pensieri.

Bernard Crawley aveva scelto questa vita dopo essere stato un comune cittadino, con moglie, figlio e un mutuo da pagare. Non faceva per lui, e presto quella vita fatta di debiti e scadenze lo condusse alla depressione e all’alcolismo.

Ora, sebbene fumasse per lo più le sigarette raccolte da terra o mangiasse gli avanzi degli altri newyorkesi, Bernard Crawley si sentiva senz’altro più sereno.

Per uno come lui, poi, non era difficile procurarsi un pasto, se sapevi dove recarti e quando.

Come questa sera, quando sul retro di un famoso fast food, cercava trai rifiuti i panini avanzati che avevano gettato via.

Non erano più caldi e non avevano più il bell’aspetto che si vedeva nelle foto delle pubblicità, ma erano comunque commestibili.

Mentre ravanava nel bidone dei rifiuti, sentì chiamarsi da una voce familiare.

<Crawley.>

Si girò all’istante, incredulo.

<Jake? Jake Lockley?>

<Proprio io.> rispose il tassista.

<Jake! Come stai? O forse sei Marc adesso...? Io...>

<No, non preoccuparti Crawley: non ho più crisi d’identità. Sono Marc Spector, ma sono tornato ad agire come Jake Lockley come ai vecchi tempi.>

<E’ bello rivederti... Jake. Davvero.> disse il vagabondo, sorridendogli e stringendogli la mano.

<Lascia perdere questi avanzi, amico. Vieni, ti offro un pasto in quella tavola calda.>

Si sedettero ad un tavolo e ordinarono caffè e un pasto abbondante.

<Si, è proprio come ai vecchi tempi.> disse Crawley, felice <Pare di essere da Gena, come una volta... a proposito, l’hai vista?>

<No, non ancora, ci andrò a tempo debito... vedi, sono nei guai amico, e mi serve il tuo aiuto.>

<Non hai che da chiedere, Jake. Dì tutto al vecchio Crawley.>

Mentre il senzatetto prese a mangiare, Marc gli raccontò per filo a per segno tutta la faccenda legata a Nefaria, dal Messico alla Sicilia fino al suo recente ritorno in patria.

<Cribbio, è veramente un bel casino. Quel Conte è veramente... machiavellico. Mi mette i brividi.>

<Si, ma adesso ho intenzione di rendergli la pariglia. Per questo mi servi tu, vecchio mio.>

<Che devo fare?>

<Per prima cosa, devi ragguagliarmi sull’attuale situazione della malavita qui a New York. Cos’è successo in mia assenza? Chi è che comanda?>

<Ah per quello è facile Jake; mentre eri in Messico ne sono successe di ogni. Hai presente la Fisk Tower, vero? Bene, un pazzo l’ha colpita con un missile! Proprio così, era su tutti i TG: uno stinger lanciato da un elicottero in pieno giorno!* E’ successo il finimondo, e la mala è scesa sul piede di guerra. Un vero caos.>

<Chi è stato?>

<Un tale che si fa chiamare Hood. Un tizio venuto dal niente e che ad un certo punto, per un po’, è stato il boss più temuto della città. Roba da scriverci un film ...>

<Che ne è di lui?>

<E’ stato arrestato dal tuo ex capo dei Vendicatori, Occhio di Falco.>

<Non era il mio capo.>

<Uh credevo che lo fosse in realtà... cioè voglio dire, lui era...  vabbè, pare comunque che l’arciere sia riuscito ad inchiodarlo, ma senti che roba, sembra che questo Hood fosse incensurato, prima di quell’arresto!>

<Com’è possibile?>

<Si, pare che i federali non avessero niente su di lui, anche se dopo il suo arresto ci sono state molte testimonianze di pentiti che affermano che avesse una lista di precedenti più lunga del mio braccio. Chiunque sia, dev’essere un tipo molto furbo.>

<Già, e proprio per questo mi sa che è proprio il tipo che fa al caso mio... > disse Marc, lisciandosi il mento <Ok, stammi a sentire: devi scoprire se ha un uomo di fiducia ancora a piede libero. Qualcuno che si occupa dei suoi affari mentre è al fresco.>

<Niente di più facile. Nel giro tutti sanno che è Johnny King il suo uomo di fiducia.>

<Sai come posso rintracciare questo King?>

<Dammi tre giorni.>

*= leggi Occhio di Falco Mit # 23-25

 

Quella sera, dopo l’incontro con King.

 

Tra lo Stato di New York ed il Massachusetts c’è una scogliera sopra la quale sorge un faro.

Un tempo era la dimora di un ufficiale della Marina ucciso dal Teschio Rosso, poi era stato acquistato dal miliardario Steven Grant, uno degli alias di Marc Spector, come base d’emergenza.

Oggi era il quartier generale di Moon Knight e della sua improvvisata banda, composta da Nigel Higgins e da due insoliti giustizieri: l’assassina di mafiosi nota come Suspiria e il ninja Ronin, membro della setta di monaci guerrieri italiani nota come i Taciti.

<Ok, ci siamo, la trappola è scattata.>

<Ha abboccato?> chiese Suspiria.

<In pieno. Ora King sta mettendo sul piede di guerra i suoi uomini.>

<Faranno la guerra a Nefaria?>

<Garantito.> le rispose Marc <Ma non basta. Voglio che Nefaria si senta braccato. Ed è qui che entrate in gioco voi.> disse diretto ai suoi alleati <A partire da domani, voglio che colpiate le organizzazioni delle più pericolose gang della città. Qualsiasi cosa andrà bene, dalle bische del gioco d’azzardo alla raffinerie di droga o i loro depositi d’armi.>

<Vuoi far credere loro che Nefaria gli stia facendo la guerra?> chiese Nigel.

<Precisamente. Quando colpirete, dovete far credere loro che sia Nefaria il vostro mandante. In questo modo, le altre organizzazioni non tarderanno a fargli le loro rappresaglie.>

<Non rischi in questo modo di scatenare una guerra fra gang?> chiese ancora Nigel.

<Non proprio. Sarà un tutti contro uno. Nefaria da solo non può tenere testa a tutte le famiglie.>

<Mi piace, può funzionare.> disse Ronin <E’ un’ottima strategia. Devo dire che sono molto colpito, Marc... anche per come hai interpretato quel Hood.>

<Ho guardato e riguardato i filmati che Nigel ha hackerato dal database della polizia. Mi sono studiato i suoi interrogatori e mi sono impadronito del linguaggio “del personaggio”.>

<Potresti fare l’attore.> gli disse compiaciuto il supereroe italiano <A proposito Nigel... dove hai imparato a entrare in un sistema informatico con tanta abilità?>

<Ho imparato dal migliore.> gli rispose l’inglese. <Anni fa ho lavorato per qualche tempo con il Punitore. Lui aveva questo amico, Microchip, che era un genio nel campo degli hacker. Mi ha insegnato lui.>

<E’ presto per compiacersi.> disse a sorpresa Suspiria < Dobbiamo prima mettere in atto il piano. Io non vedo l’ora di iniziare.>

 

Harlem. Alcuni giorni dopo.

 

I fari del camion ne annunciarono l’arrivo.  Marvin e i suoi gli si fecero avanti, quasi a bloccarne la strada. Il camion si fermò.

I due andarono verso l’autista, un afroamericano che indossava gli occhiali a specchio, nonostante fosse notte.

<Sei Dickie?>

<E chi altri?>

<Sei in ritardo.>

<Piccola variazione di percorso. Ho evitato un paio di posti di blocco... per fortuna il capo ha avuto la soffiata e mi ha avvisato in tempo. Vuoi parlarci?> disse mostrando il cellulare.

<No, in caso lo chiamo io.>

<Va bene, ma intanto datemi una mano a scaricare; ho la schiena a pezzi, è da ore che guido.>
Il capo a cui faceva riferimento era Cottonmouth, uno dei maggiori trafficanti di droga di New York.

La saracinesca del magazzino si aprì e il camion con il suo prezioso carico vi entrò dentro.

Sopra doveva esserci della droga grezza da raffinare per lo spaccio, ma quando Marvin aprì il portellone, tra le casse di roba vide Suspiria con in mano due mitra.

<Nefaria vi manda i suoi saluti!> gridò, mentre apriva il fuoco sugli spacciatori.

Fu il caos, la quiete della notte fu interrotta dal boato della sparatoria.

Dal posto di guida Nigel, toltosi i panni di “Dickie”, la copriva armato di due uzi.

<Coraggio, bastardi, fatevi sotto!>

Gli uomini di Cottonmouth non si aspettavano un’imboscata. Da un po’ di tempo a questa parte gli affari filavano lisci, dopo l’arresto del rivale del loro capo, boss Morgan jr; tutto era andato bene, fino a quel momento.

Non potevano sospettare che Nigel e Suspiria avessero intercettato il loro carico e che l’inglese si fosse sostituito al conducente.

Fu un attacco in perfetto stile Punitore: Frank Castle si sarebbe congratulato con loro, se non fosse per un dettaglio; i due non fecero una carneficina, contrariamente a quanto avrebbe fatto lui.

Ben presto i narcotrafficanti, per la maggior parte feriti, si dileguarono.

<Ottimo lavoro Nigel, ti confesso che era da parecchio che non mi divertivo così.>

<Tu e io la pensiamo allo stesso modo, bella.> rispose lui.

<Solo, ti confesso che mi rode aver lasciato vivi quei bastardi.>

<Lo so, ma Marc è alquanto restio sull’uccidere; credo sia per via dei suoi trascorsi da mercenario... inoltre, ci serve che spargano la voce che sia Nefaria il mandante.>

<Già; si lascia scappare l pesce piccolo per beccare quello grosso. Lo capisco. Ma ero tentata.>

<Lo so, ma la serata non è conclusa> disse Nigel prendendo dal camion alcune taniche di benzina e una zippo. <Vuoi avere tu l’onore di da fuoco a questo posto?>

<Puoi dirlo forte.> rispose la donna.

 

Zona del porto.

 

Il magazzino era un deposito di materiale elettronico. Il nome del proprietario che appariva sulle bolle d’accompagnamento era chiaramente quello di un prestanome, in realtà tutto apparteneva a Leland Owlsley, il criminale noto come il Gufo.

Era tutto materiale di contrabbando, microchip che venivano poi venduti al mercato nero, per lo più ad acquirenti stranieri.

C’erano molti uomini a prendersi cura del prezioso carico, pronti a tutto, ma non a quello che stava per colpirli.

Dal sottotetto, coperto dal buio, il ninja Ronin fece la sua comparsa, atterrando sopra una delle casse.

<Buonasera, gente. Il conte Nefaria mia ha mandato qui per portavi i suoi omaggi.>

I sicari del Gufo misero mani alle armi, ma quando aprirono il fuoco verso la figura in nero, i loro proiettili colpirono solo il vuoto.

L’uomo era troppo rapido, si toglieva dalla linea di tiro e aggrediva chi gli sparava colpendolo con un nunchaku o con armi da lancio come gli shuriken o i kunai.

Per chi aveva fatto della lotta al crimine la propria ragione di vita era quasi ordinaria amministrazione, ma quella notte per Ronin un inaspettata sorpresa lo attendeva.

<Così è vero... Nefaria sta attaccando la concorrenza.> disse una voce metallica.

Ronin si voltò e dinnanzi a lui vide il criminale corazzato noto col nome di Gladiatore.

<Il mio nuovo boss mi ha fatto evadere proprio per evitare gli assalti di buffoni come te.> esclamò il criminale.  

<Fatica sprecata, allora.> rispose Ronin, estraendo la katana dal fodero.

<Preparati a morire.>

La spada del ninja andò a scontrarsi con le lame da polso che il sicario indossava, provocando uno stridente rumore metallico e delle scintille.

Il Gladiatore cercò di colpirlo al ventre disegnando un arco col suo pugno, reso letale dalle suddette lame, ma Ronin lo evitò balzando all’indietro.

<Non rimandare l’inevitabile. Smetti di opporre resistenza e cercherò di darti una morte rapida.> esclamò il criminale.

<Maddai. Ti fai chiamare Gladiatore e vuoi evitare di combattere? Mi deludi.>

<Tsk. Uno di quei buffoni che scherzano durante un combattimento. Ci ho ripensato, ti macellerò come un animale.> la minaccia non sembrava infondata, il Gladiatore era capace di fare letteralmente a pezzi un uomo, ma Ronin non era un avversario semplice da affrontare, sapeva combattere e sapeva come colpire, ma l’armatura indossata dal Gladiatore lo proteggeva.

In un combattimento ravvicinato era quasi impossibile tenergli testa: le seghe circolari che portava ai polsi, poi, rendevano ogni suo assalto letale, e fendevano il metallo come burro, obbligando Ronin a tenerlo ad una certa distanza.

Era una lotta durissima, e quando quei suoi pugni letali furono sopra di lui, soltanto la sua katana gli impedì di rimanere sfigurato in un bagno di sangue; Ronin però sacrificò la sua arma volentieri per riuscire a togliersi dalla sua portata e poterlo colpire nell’unico punto dove il Gladiatore era vulnerabile: le braccia.

Con un pugno violento lo colpì al gomito, spezzandoglielo, e provocando in lui un grido di dolore.

Fece la stessa cosa all’articolazione del ginocchio, costringendolo a terra.

Infine lo privò dell’elmo e con un pugno ben piazzato si aggiudicò l’incontro.

Avrebbe potuto ucciderlo, ma il suo avversario non costituiva più una minaccia e l’ordine dei Taciti a cui apparteneva evitava di uccidere chi non poteva difendersi.

Le sirene indicavano che la polizia era vicina, e Ronin lasciò quel luogo, non prima però di aver distrutto quanto vi era depositavo.

 

Imprese come queste divennero lo scopo primario per Moon Knight e compagni, nelle notti a seguire, fino a quando la voce si sparse e tutte le organizzazioni criminali da loro colpite non cominciarono a rendere al pariglia al conte Nefaria, il quale non si spiegava l’ostilità che gli si stava riversando contro.

<Maledizione!> imprecò, picchiando il pugno sulla scrivania <Ma cosa cazzo sta succedendo in questa dannata città? All’improvviso sono diventato il nemico pubblico numero uno?>

Ad ascoltarlo c’erano i suoi principali affiliati: il suo assistente Niccolò Tancredi, il boss argentino Tarantula Nera e Randall Spector.

<Ci stanno tutti addosso! Testa di Martello, Cottonmouth, il Gufo, la famiglia Lobo ... persino i russi e la Yakuza!>

<No puede ser por la drogas. C’è sicuramente dell’altro. Forse si tratta de una questione personal.>

<A cosa alludi? Di che parli?> rispose Nefaria stizzito.

<Voglio che mi dici tutto, Nefaria. Tutta esta città contro de ti... quello che voglio dire è che dev’essere per qualcosa che hai fatto tu personalmente. Se vogliamo que la nostra società funzioni devi dirme todo! Hai conti in sospeso con qualcuno?>

<Non ho conti in sospeso con nessuno, Lamuerto, e sono sempre stato corretto con i miei associati. Non ti permetto di insinuare nulla di tutto ciò! Io ero a capo del Maggia quando tu eri ancora un ragazzino!>

<Non può essere che tutte le famiglie di New York abbiamo una questione personale contro di noi.> richiamò l’attenzione Niccolò Tancredi, con l’intento di rasserenare gli animi

<Dev’esserci per forza dell’altro. Un dettaglio scomodo che ci ha inimicato tutta la mala di New York. Sicuramente una menzogna detta da qualcuno su nostro contro. Magari Slug ... in fondo, gli abbiamo soffiato il mercato, in Florida.>

<Si è vero ... potrebbe essere. Ma non sta più in un carcere federale, mi pare che l’abbiano trasferito al Raft.> fece notare Nefaria.

<Esto Slug è tanto potente da poter smuovere todas las familias de New York contro di noi?>

<Non da solo. Forse qualcuno lo sta aiutando...> osservò ancora il conte.

Tutt’a un tratto, però, fu Randall a prendere la parola.

<Marc. E’ stato Marc.> sentenziò.

<Tuo fratello?> disse Nefaria.

<E’ ricercato in toda la Italia ... como puede?>

<Dividi et impera. Un classico. Mi sorprende, Nefaria, che proprio tu che ami le citazioni di guerra non ci sia arrivato... noi abbiamo cercato di mettergli l’Interpol contro, e lui ha fatto la stessa cosa con noi. Ci ha messo contro tutta la città.> parlava con incedere sicuro, con la risoluta certezza di essere nel giusto. <Gliel’ho visto fare in Sud America, ai tempi della CIA; ha messo certi Narcos contro i ribelli locali. E’una mossa tipica sua.>

<Ne sei certo?> chiese il conte.

<Assolutamente.>

<Spector... quel gran figlio di puttana... ancora lui!> esclamò furioso Nefaria <Pensavo di essermelo tolto dai piedi, ma quell’uomo continua a spuntare fuori, come una moneta falsa!>

<No podemos aspettare che colpisca ancora. Dobbiamo muoverci per primi. Como lo staniamo dal buco donde se nasconde?>

<Lo so io.> sentenziò Nefaria. <Hai ragione, non possiamo aspettare che ci colpisca lui, ma non sappiamo dove cercarlo... dobbiamo fare in modo che sia lui a venire da noi... e noi abbiamo un’esca alla quale non portò resistere.>

Intuendo a cosa Nefaria alludesse, Randall Spector fece un ghigno diabolico che non faceva presagire nulla di buono.

 

Manhattan. Qualche giorno dopo.

 

Non si poteva dire che la vita di Marlene Alraune procedesse tranquilla; dopo essere tornata dalla Sicilia, costretta a rifiutare una ghiotta opportunità di carriera, cercava di trovarsi una nuova occupazione. Trascorreva gran parte delle giornate a fare colloqui di lavoro; il suo curriculum come archeologa era notevole, ma in questo particolare periodo storico era difficile trovare un lavoro anche per una donna brillante come lei.

Stava tornando nel suo appartamento, uscì dall’ascensore cercando le chiavi nella borsetta, pensando a cosa prepararsi per la cena e ad inviare altre domande dal suo PC, quando la sua attenzione fu richiamata da qualcuno sul pianerottolo.

<Marlene...>

<Marc? Marc, sei proprio tu!?> disse lei, sorpresa e sconvolta.

Lo riconobbe immediatamente, nonostante indossasse abiti di fortuna, di alcune taglie più grandi.

<Si, sono io. Sono ricercato, Marlene. Sono accusato di omicidio. Mi serve aiuto. Non ho nessun altro posto dove andare...>

<Vieni dentro .. > disse la donna, invitandolo ad entrare.

<Mi hanno incastrato Marlene. Non sono stato io.> disse, una volta dentro l’appartamento.

<Lo so. So tutto...> rispose lei <...  come so che tu non sei Marc!> esclamò, tirando fuori dalla borsetta una Beretta.

<So bene chi sei, figlio di puttana! Non me la fai, Randall.>

Il volto era quello da lei un tempo amato di Marc Spector, ma l’espressione da psicopatico che assunse in quel momento dimostrò come la donna avesse ragione.

<Cara, vecchia e dolce Marlene... non sei più la deliziosa ragazzina vestita da infermierina che girava sculettando per le strade!> disse il criminale, riferendosi al loro primo incontro, avvenuto tempo addietro, in cui per stanarlo Marlene fece da esca travestendosi da infermiera*.

<Hai messo su un bel caratterino, a quanto vedo ... adesso però se non molli quella pistola, non mi limiterò ad colpirti alla schiena...> aggiunse Randall, estraendo un coltello dalla manica.

<Non muovere un muscolo o ti pianto una pallottola in fronte.>

L’avere una pistola puntata contro pareva non preoccupare lo psicopatico.

<Tsk tsk tsk ... che linguaggio da ragazzaccia! Forse dovrò tagliartela, quella lingua ...>

Tra i due si instaurò uno stallo alla messicana, e nessuno dei due sembrava intenzionato a cedere.

* su Hulk! # 17 dell’ottobre 1979

 

Villa del Conte Nefaria, Riverdale, North Bronx. Ore dopo. 

 

L’auto attraverso l’ampia cancellata e parcheggiò nel cortile.

Nefaria la osservava dalla finestra.

Randall Spector scese dal posto di guida, andò sul retro e aprì il portabagagli, dove Marlene era stava rinchiusa. La bionda scalciava e si opponeva, ma barcollava.

Nefaria scese al piano di sotto e gli andò incontro, seguito da Tarantula.

Randall li raggiunse nell’ampio atrio d’ingresso, trascinando la donna per il braccio.  

<Vedo che ce l hai fatta. Com’è che non l’hai legata e drogata?> domandò il conte mentre scendeva le scale.

<La gattina ha opposto una resistenza maggiore di quella che mi aspettava. Ho dovuto darle una lezione.>

Il volto della donna presentava lividi, tumefazioni e alcune bende e cerotti, segni di una precedente colluttazione e di una successiva medicazione.

<Ah, quale spreco però> sospirò Nefaria <Rovinare un così bel faccino. Tuttavia, ne vale il sacrificio, se serve per i nostri scopi ...>

Il conte si faceva sempre più vicino, e all’improvviso la donna estrasse dalla manica una pistola.

<NEFARIA!> gridò, sparando tre colpì in sua direzione.

Tarantula però fu più lesto a fare da scudo al suo socio, e a prendersi le pallottole al posto suo.

Col suo fattore rigenerante non temeva quel genere di ferite, e con rapidità disarmò la donna colpendola con un calcio al ventre.

Questa cadde dolorante all’indietro, facendo cadere la parrucca bionda e rivelando una chioma corvina di sotto.

<Tu non sei Marlene Alraune...> capì il conte <... allora tu sei... MARC SPECTOR!> esclamò.

Tutte le guardie nella villa all’unisono puntarono le proprie armi verso Marc, che fu costretto ad alzare le mani, rimanendo immobile e inerme.

Tarantula lo colpì con un pugno, Marc finì disteso a terra accanto a Suspiria.

<Non ... era questo il piano.> furono le uniche parole che gli uscirono.

<Qualunque fosse, mi ha facilitato le cose!> disse il conte, facendosi dare una pistola da uno dei suoi uomini. La puntò alla testa di Marc e disse:

<VA ALL’INFERNO, FIGLIO DI PUTTANA!>

 

CONTINUA!!!

 

 

Le Note

 

Parecchie cose da dire su questo episodio: torna Crawley, storico collaboratore di Moon Knight fin dagli inizi.

 

I riferimenti a quanto avvenuto a New York durante l’assenza di Marc sono avvenuto su Occhio di Falco 23 – 25, in cui il criminale noto come Hood ha cercato di divenire il nuovo Kingpin della città, venendo però alla fine catturato dall’arciere dei Vendicatori.

Il Gladiatore era stato arrestato in Devil #59 ma qui veniamo a sapere che il Gufo lo ha fatto evadere per assumerlo. Quando all’arresto di Boss Morgan, è avvenuto su Capitan America #102

 

Marlene e Randall si erano incontrati anni fa, precisamente su Hulk! # 17 .

Randall, la cui mente allora era ancora più folle rispetto a oggi, era ossessionato dalle infermiere, in quando ricordava come una di esse (Lisa, all’epoca fidanzata di Marc) quando lui era un agente CIA lo aveva a suo modo di vedere “tradito” rivelando come era passato al nemico.

Per poterlo rintracciare, Marlene si offrì volontariamente come esca, travestendosi da infermiera, ma finì col rimanere ferita, venendo colpita alla schiena da Randall con una accetta.

 

Nel prossimo episodio ... la resa dei conti tra Moon Knight e il conte Nefaria.

 

Carmelo Mobilia